Cultura
TABU’. Se l’altra è la donna del tuo migliore amico

Nella giungla di esordienti pubblicati da rinomate case editrici con opere che sembrano in buona parte tutte la copia l’una dell’altra, va reso merito ai pochi autori che per effettivo talento, probabilmente, si inseriscono in una categoria a parte della narrativa italiana emergente.
Proprio ieri mentre ero in viaggio in treno, leggevo l’ennesima opera prima di un’autrice che è stata appena pubblicata da una grossa e storica casa editrice, giunta alla metà del libro mi sono resa conto di aver riconosciuto l’impronta dell’editor, colui che dovrebbe solo indirizzare l’autore verso la costruzione della storia. Invece, ho notato che alcune delle opere pubblicate da questa storica casa editrice hanno quasi tutte la medesima declinazione di stile, e quel che è peggio, anche un simile scenario narrativo.
Ho chiesto all’autrice chi fosse il suo editor e ho avuto conferma delle mie impressioni.
Con Tabù, Giordano Tedoldi è al suo terzo libro, aveva già pubblicato I segnalati con Fazi editore e Io odio Jhon Updike con Minimum Fax. Questo terzo “figlio” pubblicato con la Tunué è la conferma che ci troviamo di fronte a un autore non più “esordiente”, uno scrittore che ha trovato la propria voce e non si presta facilmente a farsi “modellare”.
Il protagonista principale di Tabù è Piero Origo, un giovane uomo con l’abitudine di rovistare nella vita sentimentale degli altri, innamorato di Emilia, la moglie di Domenico nonché suo migliore amico.
Piero sarà colui che porterà gradualmente il lettore sul piano inclinato del peccato.
Su uno scenario di vita quotidiana ordinaria tra amici, Piero approfitta dell’assenza di Domenico, un affermato docente e saggista in viaggio di lavoro, per andare a confessare a Emilia i suoi sentimenti.
Emilia è una donna con un forte senso di devozione, quasi autolesionista nell’accettare le sue scelte di vita sbagliate, ma cederà alla tentazione di Piero, anche se per una volta soltanto. Lasciando poi Piero da solo a coltivare la sua ossessione sentimentale. Il primo tabù è stato consumato.
Cambio di scena: in un’isterica quanto assurda elaborazione della realtà ritroviamo Piero, amico di Marco, suo ex rivale in amore nella sua relazione clandestina con Dolly.
I due stringono un patto di complicità con il fine di tentare la riconquista delle due donne.
Nella seconda parte del romanzo Piero ha fondato una Comune, nella quale ha trascinato anche i suoi amici. Il libero scambio e l’infedeltà sono diventate regole di vita. Da questo momento in poi il romanzo continuerà per Tabule, l’antico gioco dell’imperatore romano Zenone d’Oriente che consisteva nel cambio di ruoli e posizioni tra i giocatori. La deriva esistenziale della vita di Piero è un fiume che contamina e travolge tutti. Siamo al terzo tabù infranto.
Nella terza e ultima parte del romanzo, l’autore ha inserito degli elementi narrativi distopici, il trait d’union tra il prima e il dopo è costituito da una voce narrante che prende parte alla scena narrativa come la voce della coscienza. In quella che potrebbe essere pensata come l’inizio di una trilogia, troviamo un sacerdote. Colui in virtù del suo ruolo di mediatore con il divino potrebbe dare assoluzione, concedere il perdono e ribattezzare esistenze annegate nella perversione dimenticando i peccati. Invece, lo spirito di Piero contagia anche lui, anima fragile e troppo innocente. Il peccato assumerà le forme della putrefazione e con un effetto domino deflagrante, Tedoldi spalancherà le porte dell’immaginario conducendo i protagonisti e personaggi minori verso un inferno esistenziale.
Tabù è un romanzo corposo, ricco di colpi di scena, con delle evoluzioni pindariche che però non deragliano così come si potrebbe immaginare. Giordano Tedoldi è una autore solido, con una formazione compatta che emerge dal tessuto narrativo sul quale muove i suoi personaggi.
Mi chiedo se nell’escalation dei tabù infranti, che spetta al lettore riconoscere, autore ed editor non abbiano già immaginato di sviluppare una futura sorta di saga distopica.
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Cultura
21 giorni per rinascere
21 giorni per rinascere è l’ultima fatica letteraria del prof. Franco Berrino, e non solo. E’ un libro prezioso scritto con Daniel Lumera e David Mariani. E’ un percorso per cambiare vita, ringiovanire e occuparsi della propria salute. E’ un accompagnamento al cambiamento, un invito a volersi più bene sul serio. Un libro da leggere a settembre. E’ un po’ capodanno vero?

Cambiare si può, spesso si desidera cambiare, ma è così difficile! Ci sono resistenze interne, un po’ di pigrizia, forse anche paura di non riuscirci davvero. O anche paura di riuscirci sul serio. Sarà capitato anche a voi di pensare di voler cambiare, ma di non riuscire a tradurre in azioni il nostro desiderio.
Quando si parla di cambiare abitudini si pensa facilmente alle dipendenze, al modo che abbiamo di alimentarci, alla nostra attività fisica. Bene, tutti in teoria – chi più chi meno – pensa di sapere in liena teorica cosa occorrerebbe fare, ma non sempre è così.
Iniziamo con un punto importante: per ottenere grandi cambiamenti dobbiamo iniziare a cambiare piccole abitudini; fare piccoli passi, un passo alla volta. Ma come si fa a creare una nuova abitudine? Per i nostri esperti, per Franco Berrino, Daniel Lumera e David Mariani per instaurare una nuova abitudine occorrono 21 giorni. Il giro di boa è 21 giorni.
E poi stacchiamoci dall’idea della privazione, che sa di punizione e le punizioni non piacciono veramente a nessuno. Pensiamo ad aggiungere: contemporaneamente aggiungendo, toglieremo. Aggiungendo della frutta secca alla colazione sarà più facile eliminare il cornetto per esempio. Oppure esplorando nuovi tipi di tè potremo limitare l’uso del caffè.
Piccoli gesti in direzione della nostra salute.
21 giorni per rinascere è una guida che vi accompagna verso la creazione di nuove abitudini. Fatevi un regalo, ne sarete felici.
Qui la nostra intervista al professor Franco Berrino.
Cultura
La forma dell’acqua
Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio. […]

Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio.
Siamo a Baltimora nel 1962, in piena Guerra Fredda, e gli americani catturano e segregano in un laboratorio governativo una strana creatura degli abissi, che secondo una sarebbe una divinità guaritrice.
Elisa (Sally Hawkins) è una timida ragazza muta che lavora come inserviente nel laboratorio. Ha due soli amici: la sua collega di colore Zelda, – Octavia Spencer, già premio Oscar, che ricordiamo per la sua magistrale interpretazione ne Il diritto di contare di Theodore Melfi – e Giles (Richard Jenkins) un vicino di casa discriminato in quanto omosessuale con il quale Elisa condivide la sua solitudine.
In questo laboratorio di spie americane e infiltrati del KGB, il capo – Michael Shannon, lo sceriffo di Animali Notturni di Tom Ford – è un cinico aguzzino che sevizia la creatura alla ricerca di chissà quale verità sulla sua natura. Sullo sfondo di questa “aliena” storia d’amore tra Elisa e l’uomo acquatico, Guillermo del Toro, con spirito messicano, dipinge il ritratto di un’America accecata dalla guerra e dal complottismo, tanto da non accorgersi che quella creatura è davvero la misteriosa forma di intelligenza di un altro mondo.
Elisa priva di voce si avvicina al mostro acquatico e riesce a stabilire con lui un contatto emotivo unico.
Ispirato dagli archetipi fiabeschi presenti nell’immaginario collettivo il regista ha dichiarato: “Volevo creare una storia bella ed elegante sulla speranza e sulla redenzione come antidoto al cinismo dei nostri tempi. Volevo che questa storia prendesse la forma di una fiaba, in cui un umile essere umano si trovasse a vivere un’avventura più grande e trascendente di qualsiasi altro evento della sua vita. Ho pensato che sarebbe stata una buona idea contrapporre quell’amore a qualcosa di tanto malvagio come l’odio tra le nazioni complice della Guerra Fredda, o l’avversione tra le persone causato dalle differenze di razza, colore, abilità e genere.”
È così che attraverso il fantasy Guillermo del Toro supera i limiti della realtà, fa appello agli amanti e ai sognatori di resistere al cinismo dei tempi, che tutto logora, e di trascinare fuori dagli abissi ancestrali delle nostre paure l’amore con la A maiuscola, l’amore capace di guarire e far rinascere.
Cultura
Chiamami con il tuo nome: l’estate, il desiderio e l’amore.
Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.
Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P. […]

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.
Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P.
Invece prima di Chiamami col tuo nome, avevamo già cambiato opinione sul suo cinema con Io sono l’amore e A Bigger Splash, presentato a Venezia 72, che vedeva come protagonista una splendida Tilda Winston in versione rockstar in vacanza a Pantelleria. E anche in quell’occasione Guadagnino aveva fatto il pieno dei consensi presso la stampa estera e il pieno delle critiche in casa. Misteri del pensiero omologato probabilmente.
Chiamami col tuo nome è tratto dall’omonimo romanzo di Andrè Acìman che compare fugacemente anche nel film di Guadagnino. La sceneggiatura è stata adattata anche grazie al contributo dello scrittore e regista James Ivory che è anche produttore associato.
Nella trasposizione cinematografica il romanzo è ambientato a Crema città di residenza del regista, anziché in Liguria. La famiglia Perlman è una famiglia di colti borghesi illuminati che vive in un splendido casale di campagna. Siamo nell’estate del 1983 ed Elio, interpretato da Thimotée Chalamet, è un adolescente di 17 anni fuori dal comune, che passa l’estate a scrivere di musica, a leggere e a flirtare con Marzia. Oliver (Armie Hammer) è un aitante studente di archeologia del New England, che il padre di Elio ospita per aiutarlo a completare una tesi di dottorato.
Guadagnino ci fa fare un tuffo nostalgico nel passato, in una un’estate tipicamente italiana, fatta di corse sudate in bici, partite a pallavolo, bagni nel lago tra un canzone e l’altra della Bertè, gustose cene sotto le stelle e l’amore sognato che scoppia all’improvviso.
Chiamami col tuo nome è l’estate nel cuore che fa trepidare nei tormenti del primo amore, scivolare in profondi abissi e poi volare fino alle vertigini.
In Elio c’è la purezza di un adolescente così precocemente già pregno di cultura e bellezza da sentirsi fuori luogo in mezzo ai suoi coetanei. Il padre è un docente di archeologia e la madre Annella (interpretata da Amira Casar) è una donna che riflette lo stereotipo della moglie bella, accogliente, affettuosa e silente osservatrice.
Elio respira una libertà di espressione fuori dal comune per la società italiana di provincia degli anni ‘80. È chiaro che Guadagnino, ancora una volta, come in A Bigger Spalsh, ci fotografa l’estratto borghese di una classe sociale con uno stile di vita elitario.
All’arrivo di Oliver, Elio è costretto a dividere con lui la stanza; a primo acchito non vi è empatia fra i due, ma quasi un gioco di scherno. Elio si sente prevaricato dall’arrogante capacità di seduzione di Oliver, entrambi ostentano reciprocamente indifferenza nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che li travolgerà.
Chiamami col tuo nome è un film che ha avuto una lunga gestazione tra una scrittura e l’altra, i produttori Luca Spears e Howard Rosenman hanno letto il libro per la prima volta nel 2008. Nel 2014 James Ivory viene coinvolto negli adattamenti della sceneggiatura e quasi 9 anni dopo cominciano le riprese.
La location scelta da Guadagnino è una villa abbandonata a Moscazzano vicino Crema, che la set decorator Violante Visconti, nipote di Luchino, ha reso l’elegante villa di famiglia del XII secolo.
Nelle sue note di regia Guadagnino dice: “Mi piace pensare che Chiamami col tuo nome chiuda una trilogia di film sul desiderio, con Io sono l’amore e A Bigger Splash.
Mentre nei precedenti il desiderio spingeva al possesso, al rimpianto, al disprezzo, al bisogno di liberazione, in Chiamami col tuo nome abbiamo voluto esplorare l’idillio della giovinezza. Elio, Oliver e Marzia sono irretiti in quella splendida confusione che una volta Truman Capote ha descritto, affermando “l’amore, non avendo una mappa, non conosce confini”.
Ed è così che Elio scopre la felicità dell’amore rivelato ma anche il dolore bruciante della perdita, e poi del ritorno alle convenzioni sociali. È un amore che seppur breve rimarrà inciso nella memoria.
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