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Insufficienza venosa cronica e idroterapia termale

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A colloquio con Enrico Arosio, Professore Associato di Medicina Interna presso l’Università di Verona.

 

 

Qual è l’incidenza dell’insufficienza venosa cronica?

L’Ivc è piuttosto diffusa nella popolazione adulta dei paesi industrializzati. Si può stimare che circa il 30% degli adulti abbiano qualche disturbo ad essa attribuibile, essendo questa la principale responsabile di lesioni ulcerose agli arti inferiori. Per quanto riguarda la prevalenza di varici, notevoli variazioni si riscontrano negli studi epidemiologici condotti in differenti aree geografiche. Discussa è la trasmissibilità ereditaria dei disturbi venosi. Una predisposizione familiare coesiste in circa l’80% dei portatori di varici vs il 20% di pazienti senza antecedenti.

 

Colpisce più le donne o gli uomini?

L’Ivc colpisce prevalentemente il sesso femminile fino a 60 anni, mentre successivamente non sembrano esserci significative differenze.

 

Le cause sono legate solo allo stile di vita o ve ne sono altre meno controllabili? Quali?

Le abitudini di vita scorrette quali il sovrappeso e la sedentarietà costituiscono un aspetto rilevante. Vanno inoltre presi in considerazione i lavori che richiedono di stare in piedi a lungo, fermi nella stessa posizione o in ambienti con temperature elevate. Attività sportive o professionali in cui vengono effettuati sollevamento di pesi o comunque sforzi che provocano contrazione dei muscoli addominali. Gravidanze, in particolare se numerose e accompagnate da eccessivi incrementi di peso. Cambiamenti ormonali come ad esempio in menopausa se si accompagnano a modificazioni significative del peso corporeo. Precedenti episodi di trombosi delle vene profonde. Non ultimo, come già accennato, la presenza di parenti affetti da vene varicose o da problemi di gonfiore alle gambe.

 

Quali sono i principali trattamenti conservativi oltre alle modifiche dello stile di vita e la correzione dei fattori di rischio?

Fondamentale per contrastare il ristagno di sangue e liquidi nelle gambe è l’utilizzo dei trattamenti compressivi che consistono in bendaggi e calze elastiche, drenaggio linfatico manuale e pressoterapia pneumatica intermittente. Sono inoltre da considerare gli esercizi per l’articolarità il potenziamento delle pompe muscolari e l’idrobalneoterapia termale.

 

Vi sono farmaci per il trattamento dell’Ivc? Come agiscono?

Diversi farmaci sembrano in grado di migliorare la sintomatologia e talora anche di ridurre la comparsa di ulcere o di favorirne la guarigione, ma non vi sono evidenze definitive a riguardo. Considerando che gli eventi infiammatori della parete delle vene e delle valvole in essa presenti sono da considerarsi fondamentali nel rimodellamento della parete venosa, dell’insufficienza valvolare e della successiva ipertensione venosa, la maggior efficacia è da attribuirsi ai farmaci più attivi su tale versante.

I farmaci flebotropi sono prodotti di origine naturale, seminaturale e prodotti sintetici, taluni con più principi attivi per migliorarne l’efficacia. La maggior parte di questi appartiene alla famiglia dei flavonoidi. Questi farmaci agiscono su: emodinamica venosa, drenaggio linfatico, infiammazione e soprattutto sul tono venoso e sulla permeabilità capillare.

Essi vengono somministrati in tutti gli stadi della malattia venosa cronica per ridurre, con diversa entità, sintomi quali senso di peso, dolore, parestesie, sensazione di calore e bruciore, crampi notturni, prurito e l’importante quadro dell’edema.

Tra i farmaci flebotropi vanno ricordati la diosmina e la sua derivata, la rutina e rutosidi. Le saponine sono invece estratti di semi di ippocastano che contengono escina.

I glucosaminoglicani (GAGs), quali il sulodexide e il mesoglicano, sono sostanze eparinoidi derivanti dalla parete vascolare con effetti antitrombotici fibrinolitici. In particolare il sulodexide è un farmaco vasoattivo che svolge una fisiologica attività di protezione del microcircolo vascolare vantando una particolare proprietà antiinfiammatoria.

Va comunque ribadito che tali farmaci vanno associati al fondamentale impiego delle calze elastiche, correttamente indossate, poiché il trattamento compressivo costituisce l’elemento più efficace nel ridurre il gonfiore e il senso di pesantezza alle gambe.

 

L’idrobalneoterapia termale in cosa consiste?

E’ l’insieme dei trattamenti con acque minerali del corpo nel suo complesso o di parti di esso. Più in dettaglio parliamo di idromassaggio, immersioni in acqua con camminamento, docce e ginnastica vascolare.

Le acque più utilizzate sono:

SALSOBROMOIODICHE per riduzione degli edemi e aumento della diuresi

SULFUREE antinfiammatoria e antisettica

CARBONICHE vasodilatatoria e tonificante sulle vene

SOLFATO CALCICHE stimolante sulla contrattilità venosa

ARSENICALI FERRUGGINOSE con effetto tonificante, stimolante e antistress

Un possibile trattamento consiste nell’immersione in vasca termale alla temperatura di 32-34°C per 15-20 minuti con camminata su percorso controcorrente e con l’esecuzione di esercizi acquatici in modo da aggiungere i benefici della chinesiterapia. E’ possibile inoltre utilizzare gli effetti stimolanti di micro getti di acqua termale (idromassaggio) per 10-15 minuti. Il trattamento viene completato con 10-15 minuti di camminata in apposita vasche contenenti acqua termale a 32-36°C, contigue a vasche in cui la temperatura dell’acqua viene portata a 20-24°C. Quest’ultimo percorso vascolare (Bagno Kneipp) sfrutta gli effetti di riattivazione della circolazione determinati dall’alternanza dello stimolo indotto dall’acqua calda e da quella fredda. Il tutto per 2-3 settimane.

 

In che modo l’idrobalneoterapia è efficace sui sintomi dell’Ivc?

L’azione benefica dell’acqua sulla stasi venosa e linfatica degli arti è ben nota. In generale, i trattamenti si basano sugli effetti della pressione idrostatica, sulla temperatura del bagno e sulla costituzione clinica dell’acqua per l’effetto medicamentoso dei sali. Nell’Ivc si possono pertanto sfruttare gli effetti chimico fisici della balneoterapia in acqua termale per aumentare il ritorno venoso e controllare segni e sintomi della patologia, consentendo un miglioramento della qualità di vita del paziente.

Da considerare che, appartenendo l’insufficienza venosa alla classe delle malattie croniche per le quali non esiste un trattamento medico risolutivo, l’intervento termale è comunque importante perché può migliorare il quadro clinico e rallentare l’ulteriore evoluzione del danno anatomico. Esso ha comunque un effetto analgesico e antinfiammatorio. Considerando poi che, di solito, il paziente non sempre attua in modo preciso i principali provvedimenti terapeutici – la compressione elastica e le modificazioni delle abitudini di vita scorrette – l’idrobalneoterapia costituisce un valore coadiuvante per il trattamento dell’Ivc.

 

Chi può sottoporsi a questi trattamenti? Ci sono controindicazioni?

In considerazione dell’ottima tollerabilità, l’idrobalneoterapia in acqua termale è indicata nella maggior parte dei pazienti con Ivc. In alcuni casi, è però necessario valutare se una specifica acqua possa recare danno a causa delle condizioni generali del paziente o della presenza di particolari situazioni patologiche. Particolare attenzione deve essere posta nell’ammettere alla cura pazienti portatori di scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria e renale, cirrosi epatica e insufficienze vascolari coronariche e cerebrali che rappresentano quadri patologici di particolare gravità.

Per le acque più “stimolanti” quali le salsobromoiodiche e le solfuree è opportuno valutare i possibili effetti su un organismo con scarse capacità di compenso. In tali situazioni, bisogna consultare un medico prima di intraprendere una terapia termale.

Per concludere, possiamo dire che la idrobalneoterapia rientra in una medicina complementare ed ausiliaria che contribuisce al recupero della salute in analogia agli altri provvedimenti della medicina classica.

In un nostro studio, l’efficacia del trattamento idrobalneoterapico sulla sintomatologia soggettiva ha trovato conferma anche nei risultati clinici. Una valutazione soggettiva, positiva della sintomatologia e della qualità della vita può risentire anche di altri fattori legati alla frequentazione di un centro termale, quali ad esempio un incremento dell’attività fisica o un generico miglioramento sul benessere psico-sociale, ma questi aspetti vanno comunque considerati dei benefici, seppur indiretti, dovuti al trattamento idrobalneoterapico. Tutto questo, in sintonia con quanto ci ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità e cioè che la salute non è soltanto assenza di malattia ma è soprattutto riconquista di un pieno benessere psico-fisico.

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Come tenersi in forma durante il lock down

La chiusura delle palestre limita la possibilità di rimanere in forma. Eppure il movimento aiuta a stare meglio e a rinforzare le difese immunitarie. Vediamo come conciliare limitazioni, movimento e benessere.

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La chiusura delle palestre limita la possibilità di rimanere in forma. Eppure il movimento aiuta a stare meglio e a rinforzare le difese immunitarie. Vediamo come conciliare limitazioni, movimento e benessere.

Siamo di nuovo in emergenza Covid-19 e, purtroppo, ciò finisce anche con il limitare le attività sportive e la frequentazione di piscine e palestre. Anche le passeggiate, pur consentite, subiscono limitazioni importanti poiché (almeno nelle “zone rosse”) ci si può muovere solo in prossimità della propria abitazione. E per quanto riguarda il running, per ora prevale una linea morbida e possibilista, ma ordinanze locali potrebbero anche limitare la libertà dell’esercizio, che deve comunque essere svolto in solitaria e seguendo norme di distanziamento personale. In questa situazione di difficoltà per gli amanti dello sport, abbiamo chiesto al professor Domenico Sinesi, direttore emerito del dipartimento di medicina dello Sport presso l’Ospedale Policlinico Università di Bari, di spiegarci perché è importante non trascurare l’attività fisica quotidiana e, da un punto di vista pratico, come svolgerla in questa situazione di difficoltà.

 

Professore, le linee guida per evitare l’infezione da coronavirus ci dicono di evitare i contatti e stare quanto possibile in isolamento. Ciò limita le attività sportive. Lei condivide questa impostazione?

La catena dei contagi ha subito un’impennata notevole sull’intero suolo nazionale e va quindi fermata in ogni modo possibile. Il distanziamento personale rispetto alle attività ludiche e sportive amatoriali diventa quindi una delle tante forme di contenimento: inutile da sola, ma organica se eseguita insieme ad altre. fatta questa premessa, è necessario far seguire a essa un ragionamento: a tutti noi è stato spiegato fin da marzo che cosa non si deve fare, sottolineando soprattutto i comportamenti da evitare. Allo stesso tempo mi permetto di aggiungere che bisognerebbe dare altrettanta importanza a che cosa è bene fare, in queste situazioni. Intendo dire che bisogna fornire suggerimenti utili a vivere al meglio i periodi di limitazione della propria autonomia. L’isolamento, pur proteggendoci dal virus, ha effetti negativi sulla nostra salute tanto fisica quanto psicologica e questi effetti finiscono con l’alterare una adeguata risposta immunitaria.

 Questo vuol dire che è necessario continuare a fare attività fisica?

Certamente. Il movimento serve a sostenere il metabolismo e, così, migliora la sintesi di globuli rossi e bianchi, piastrine, neurotrasmettitori, enzimi e ogni singola molecola prodotta dal corpo. Ciò rinforza la nostra capacità di reazione ad eventuali aggressioni virali. A questo aggiungo che i macrofagi, tra le prime difese immunitarie, hanno bisogno di muoversi nel torrente sanguigno, per agire al meglio. Ebbene alzando la frequenza cardiaca, facciamo in modo che svolgano il loro compito di presidio del nostro territorio biologico in maniera più efficace.

 Come si dovrebbe organizzare un’attività fisica a domicilio?

Fermo restando che chi ha attrezzi tipo tapis roulant, cyclette o ellittiche ne può usare liberamente suggerisco a chi non ne ha e non se la sente di uscire, di eseguire sedute a corpo libero non eccessivamente lunghe, ma regolari. Credo che trenta minuti complessivi di esercizio (volendo in due “tranche” da 15 minuti l’una) siano sufficienti per mantenere la tonicità muscolare e svolgere un po’ di allenamento cardiovascolare. L’ideale sarebbe ripartire ogni sessione di allenamento in tre parti uguali di tempo. Dedicando quindi un terzo di questo agli esercizi di resistenza, un terzo a quelli atti a mantenere la forza e un terzo a quelli di allungamento muscolare.

Quali sono gli esercizi più utili, in questa situazione?

Per ciò che riguarda gli esercizi di resistenza io suggerisco la corsa sul posto o il salto della corda, da affrontare a ritmo blando. A chi ritiene che quest’ultimo sia un passatempo infantile, suggerisco di verificare quali sono gli allenamenti dei pugili professionisti e di provare a fare anche solo tre minuti consecutivi di salto della corda: si ricrederà velocemente. Per ciò che riguarda la forza si può procedere con piegamenti tipo squat, per far lavorare le gambe. Alzarsi sulle punte serve a mantenere tonici i polpacci. Quindi i piegamenti sulle braccia (aiutandosi con l’appoggio delle ginocchia, se serve) sono sempre utili per tonificare la parte alta del corpo e le braccia. Il plank è un esercizio che aiuta soprattutto la muscolatura addominale. Direi che dieci piegamenti di squat, dieci sulle braccia, dieci alzate sulle punte e un minuto di plank sono sufficienti, per iniziare. Per ciò che riguarda la terza parte della seduta, lo stretching, è necessario puntualizzare alcuni aspetti fondamentali. Ricordando che lo stretching è molto importante per coloro che sono in smart working, dato che rischiano di passare molto tempo seduti davanti a un video.

Quali aspetti vuole sottolineare, per ciò che riguarda lo stretching?

Prima di tutto voglio dire che gli esercizi possono essere eseguiti liberamente più volte nella giornata e non solo durante le sessioni di allenamento, più specificamente ogni volta che si avverte rigidità muscolare. Ma soprattutto è il modo in cui si fa il movimento che va corretto rispetto alle abitudini che vedo tra le persone che fanno sport a livello amatoriale e non solo. Per esempio, quando portiamo il tallone al gluteo, tutti tirano la gamba per avvicinare il tallone al gluteo stesso. Ebbene il movimento dovrebbe essere opposto: la mano dovrebbe opporre resistenza mentre, con la gamba, cerchiamo di recuperare la posizione su due piedi; il movimento corretto è quello che tende a riportare il piede dal gluteo verso terra. Lo stretching non deve essere fatto “in trazione”, ma spingendo. La trazione favorisce elongazioni sia muscolari che tendinee ed espone ad infortuni.

 Con il ritorno del lockdown è ripartita la polemica relativa all’interpretazione delle norme sull’attività fisica all’aperto. Che parere ha sulla questione?

Rispondo dicendo che è sbagliato porsi in maniera troppo assertiva sulla questione. Io penso che per rispetto delle autorità e del lavoro di medici, infermieri e altri, io dico che è giusto rispettare le indicazioni che verranno date ed eventualmente, se ci saranno limitazioni severe, riprendere l’attività all’aperto quando le condizioni saranno differenti. Attenzione però: il runner abituato a fare molti chilometri al giorno vive questa privazione in maniera drammatica a livello personale. La produzione di endorfine da parte del corpo, dopo le sedute di allenamento, è massiccia e tale da generare una dipendenza. Quindi è sbagliato, da parte degli altri, considerarlo un capriccio. È un’esigenza difficile da gestire e che somiglia molto a quella delle sigarette per il fumatore, per intenderci.

Come si può mitigare questa dipendenza?

Attraverso sostituti della corsa, se le condizioni impediranno di uscire. Si può fare corsa sul posto, meglio se sul balcone di casa, o saltare la corda. So che lo scorso marzo alcuni hanno corso dentro casa… A loro, se mai fossero costretti a ripetere questa esperienza, suggerisco di invertire il verso della corsa ogni trenta o sessanta secondi per non mandare in sofferenza l’apparato vestibolare, quello che governa il senso dell’equilibrio.

 

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L’attività fisica migliore? Quella che diverte!

Se è vero che il movimento è salute, quello che diverte è ancora più salutare. Per stare veramente bene è necessario allo scegliere un’attività che non ci faccia solo stancare ma ci faccia anche divertire. In modo da migliorare la chimica cerebrale.

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Se è vero che il movimento è salute, quello che diverte è ancora più salutare. Per stare veramente bene è necessario scegliere un’attività che non ci faccia solo stancare, ma anche divertire. In modo da migliorare la chimica cerebrale.

Molte volte il medico sportivo è interpellato per rispondere a una domanda che all’apparenza sembra cruciale: qual è l’attività fisica migliore? Ognuno risponde a modo suo, prendendo in considerazione diverse variabili. Alcuni diranno, a ragione peraltro, che l’attività in piscina è ottima poiché non espone a traumi di tipo articolare. Altri diranno che il running è comodo, perché basta infilarsi le scarpe, una tuta e l’allenamento può iniziare. Altri ancora diranno che la camminata veloce coniuga lavoro cardiovascolare senza insistere su ginocchia zona lombare. Ogni attività, insomma, ha vantaggi e svantaggi e il medico sportivo, nel rispondere alla domanda sull’attività migliore, dovrà dare una risposta che tiene conto anche dell’età e delle condizioni del paziente, del suo terreno biologico e di eventuali patologie in atto. Una delle discriminanti che tuttavia vengono poco spesso prese in considerazione è il divertimento, l’appagamento che l’attività motoria dovrebbe dare. Partiamo allora da una considerazione di carattere generale, che dovrebbe orientare la scelta più di qualsiasi altro ragionamento: non c’è benessere autentico senza gioia.

Questa considerazione è banale solo all’apparenza. Pensiamo infatti a come funziona il corpo umano e quali sono gli attori che entrano in gioco, quando l’organismo inizia a muoversi: si avvia la macchina, il sistema cardiovascolare aumenta il proprio lavoro per consentire l’ossigenazione dei muscoli; questi, sotto sforzo, finiscono con il subire delle microscopiche lesioni che hanno bisogno di essere riparate e così, oltre ad attivare i meccanismi di infiammazione che seguono qualsiasi trauma (piccolo o grande che sia), il cervello ordina la produzione di sostanze analgesiche, le endorfine, oppioidi che vengono utilizzati per ottenere il controllo del dolore. La sensazione di rilassatezza che segue a questa cascata endorfinica, con il tempo, innesca un meccanismo di assuefazione e dipendenza. Entro certi limiti il circolo vizioso appena descritto è benefico: siamo spinti a migliorarci e così il tono muscolare, la capacità respiratoria e cardiaca migliorano. Ma oltre un certo limite alcune persone iniziano a diventare dipendenti dall’attività fisica e, in maniera paradossale, hanno un rapporto con l’esercizio che ricorda da vicino quello che si può avere con le sigarette o con i farmaci tranquillanti.

Un’attività fisica svolta, invece, con finalità ludiche ha un impatto diverso sulla nostra psiche. Se pensiamo per esempio a una partita a tennis, a una partita di calcetto tra amici, ecco che il cervello reagirà con una maggiore attivazione del sistema dopaminergico che è quello connesso alle sensazioni di appagamento, non necessariamente sportivo. La dopamina genera buonumore, ma si attiva anche in compagnia, mangiando un dolce, osservando un panorama emozionante. Dobbiamo allora pensare che la scelta dell’attività dovrebbe basarsi soprattutto sulla capacità di creare benessere. Dunque la risposta del medico sportivo alla domanda su quale sia l’esercizio migliore è: quello che ci diverte di più. Perché cuore, muscoli, polmoni si esercitano tanto su un tapis roulant quanto su un campetto di calcio a 5 e allora, a parità di condizioni di salute, dobbiamo semplicemente scegliere tra quelle attività che ci fanno sorridere, anche solo al pensiero.

 

Articolo realizzato con la consulenza del professor Domenico Sinesi.

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L’eccesso di sport abbassa le difese immunitarie?

Il fenomeno di chiama open-window e coinvolge soprattutto coloro che portano all’estremo sforzi di resistenza. Questo abbassamento delle difese immunitarie ci espone soprattutto all’azione dei virus respiratori.

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Il fenomeno si chiama open-window e coinvolge soprattutto coloro che portano all’estremo sforzi di resistenza. Questo abbassamento delle difese immunitarie ci espone soprattutto all’azione dei virus respiratori.

Noi siamo abituati a pensare che il binomio sport e salute sia indissolubile e assoluto. Ciò è per gran parte vero, poiché il movimento può essere utile a proteggerci da numerose malattie, specialmente quelle di tipo metabolico e cardiovascolare. Tuttavia, come ben sanno i medici dello sport, i training a intensità molto elevata, così come il ripetere sessioni di allenamento stremanti in maniera ravvicinata, può risultare dannoso ed esporci al rischio di infezioni, specialmente quelle di tipo virale. Come mai ciò accade? La spiegazione va cercata nel fatto che dopo una sessione di allenamento particolarmente impegnativa i leucociti vengono “chiamati” verso i muscoli, poiché lo stress muscolare determina la rottura delle fibrille del muscolo stesso e si genera quindi uno stato di infiammazione. Molto banalmente noi possiamo renderci conto di questo fenomeno quando, dopo un periodo di inattività, facciamo uno sforzo fisico che ci lascia indolenziti per uno o più giorni a venire. Questo disagio non è causato, come molti credono erroneamente, dall’accumulo di acido lattico (che casomai è responsabile della sensazione di stanchezza muscolare, che comunque passa in fretta), ma dal danno alle fibre muscolari che spinge, poi, il corpo, alla ricostruzione delle stesse.

Comunque sia lo stato infiammatorio post attività indebolisce l’attività di presidio da parte delle difese immunitarie e si ha quindi una maggiore vulnerabilità nei confronti dei virus, specialmente quelli respiratori, considerando che sono quelli che si diffondono più facilmente nell’ambiente e sono anche quelli che, con le nostre prese di fiato sotto sforzo, rischiamo di portare all’interno dell’albero respiratorio con maggiore facilità. Questo fenomeno di calo delle difese viene chiamato dai medici sportivi con un nome particolare: “open window”. In genere dura dalle tre ore post allenamento (in caso di un’ora di corsa sostenuta) fino a 72 ore (in genere ciò accade però quando si eseguono attività molto stressanti per il corpo come maratone o triathlon), ma è sempre molto difficile indicare la “quantità” di fatica che può determinare l’apertura di questa finestra di vulnerabilità biologica, perché la capacità di recupero dipende anche dallo stato di forma individuale. Dunque il runner appassionato trarrà solo vantaggi da una mezzora di corsa di buon passo, mentre la stessa quantità di tempo corsa per la prima volta da un sedentario (ammesso che ci riesca, beninteso), può effettivamente creare una condizione di stress organico che “apre la finestra” ai patogeni. Va anche accennato un altro aspetto interessante: il calo delle difese immunitarie si verifica anche a livello delle IgA salivari, le quali aiutano a difendersi dalle infezioni del primo tratto respiratorio. Le IgA salivari, peraltro, sono a loro volta condizionate dalla composizione del microbiota delle mucose della bocca ebbene, durante lo sforzo fisico e respirando a bocca aperta, è possibile alterarne la composizione. Ecco perché possiamo scientificamente confermare una certa aneddotica per cui, dopo una maratona o una mezza maratona corsa da un amatore, possono facilmente subentrare faringiti, tosse e sindromi simil-influenzali.

Questo significa che l’attività fisica può indebolirci, anziché rafforzarci? Niente affatto: il movimento fatto in maniera regolare, non eccessivamente intenso (quindi la corsa lenta così come la camminata veloce) è utile per restare in forma, proteggere il cuore, migliorare l’efficienza polmonare, persino per stimolare la neurogenesi (secondo alcune ricerche). Ma va svolto nel rispetto delle proprie possibilità fisiche, perché l’obiettivo reale è il benessere fisico e psicologico.

 

Articolo realizzato con la consulenza del professor Domenico Sinesi.

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