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Cultura

Festa del cinema di Roma. dal 26 ottobre al 6 novembre

Domenica sera sul red carpet della dodicesima edizione della Festa del cinema di Roma, la star tanto attesa è stata Jake Gyllenhaal, l’attore hollywoodiano acclamato a #Venezia71 per il suo ruolo da protagonista in Nocturnal animals di Tom Ford. Gyllenhaal arriva a Roma come interprete del film Stronger di David Gordon Green. [..]

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Domenica sera sul red carpet della dodicesima edizione della Festa del cinema di Roma, la star tanto attesa è stata Jake Gyllenhaal, l’attore hollywoodiano acclamato a #Venezia71 per il suo ruolo da protagonista in Nocturnal animals di Tom Ford. Gyllenhaal arriva a Roma come interprete del film Stronger di David Gordon Green.

Stronger narra la vera storia di Jeff Bauman sopravvissuto all’attentato terroristico avvenuto durante la maratona di Boston nel 2013. Jeff nell’intento di riconquistare la sua ragazza decide di aspettarla al traguardo con un cartello in mano. Ma improvvisamente tutti gli atleti giunti alla fine della maratona vengono coinvolti nello scoppio di due ordigni piazzati a pochi metri, e Jeff si risveglia in ospedale senza le sue gambe.

Nella kermesse romana contrassegnata quest’anno da uno scarso glamour e un programma poco brillante, nelle prime giornate del Festival tra i film degni di nota segnaliamo: Abracadabra di Pablo Berger, il documentario intervista Love Means Zero sul celebre allenatore di tennis Nick Bollettieri di Jason Kohn, e Ferrari: Race to immortality  di Daryl Goodrich, che narra la costruzione del mito Ferrari negli anni ’50.

Abacadra di Pablo Berger è una brillante commedia ambientata nei primi anni ’80 alla periferia di Madrid. La protagonista è Carmen (Maribel Verdù) sposata con Carlos (Antonio de la Torre), un marito dal carattere aggressivo e rozzo. In una cornice trash che ricorda le atmosfere almodovariane, Carmen cerca di risollevare il suo matrimonio dall’inerzia fatta di calcio, lavoro e indifferenza nel quale è affogato suo marito. Fino a quando la coppia partecipa a un matrimonio di famiglia, durante il quale il molesto e arrogante marito Carlos viene invitato, per gioco, a sottoporsi a una seduta di ipnosi. Si risveglierà posseduto dallo spirito di un ragazzo gentile ma schizofrenico, e inconsapevolmente alternerà momenti di estrema gentilezza ad altri nei quali ritornerà il Carlos molesto di sempre. Spiazzata dal lato inedito della personalità di Carlos, Carmen in maniera rocambolesca cercherà di scoprire cosa sia potuto accadere. Il film si tinge di tinte noir ma sempre in una chiave funzionale allo stile comico e a tratti surreale del regista.

Pablo Berger che avevamo già apprezzato per Blancanieves – una rivisitazione in chiave moderna e comica della favola dei fratelli Grimm – con Abracadra conquista ancora una volta il pubblico confezionando una pellicola che mischia generi e citazioni cinematografiche con intento caricaturale ma dall’effetto travolgente.  

Ferrari: race to immortality di Daryl Goodrich riporta sul grande schermo vecchie e gloriose immagini di repertorio dell’iconica casa automobilistica durante gli anni ‘50.

Il mito della Ferrari viene raccontato attraverso i primi piloti che contribuirono a renderlo celebre, come Peter Collins e Mike Hawthorn, amici di lungo corso entrambi scomparsi precocemente.

Enzo Ferrari sullo sfondo, come fondatore del prestigioso marchio di Maranello appare quasi come il deus ex machina della sorte dei suoi campioni. Ferrari emerge da stralci di una storica intervista rilasciata a Enzo Biagi e da sue citazioni che passano in sovraimpressione, mentre scorre la storia e le immagini di un’epoca storica, fulgida ma drammatica allo stesso tempo. I primi grandi piloti della Formula Uno vissero tutti una breve seppure intensa vita al servizio della Ferrari. Infatti, l’imperfezione tecnica delle prime auto da corsa e la pericolosità dello sport, faceva di loro quasi dei gladiatori al servizio della gloria, temerari e sprezzanti anche nei confronti del destino. Negli stralci delle dichiarazioni del fondatore del cavallino rosso emerge sempre un velo di cinismo dalle sue parole. Come se l’obiettivo di rendere la Ferrari il marchio automobilistico più celebre al mondo fosse una missione alla quale sacrificarsi.

Gloria, Dolce Vita e ricchezza rendevano di sicuro più accettabile il prezzo da pagare.

Love Means Zero di Jason Kohn, è un documentario intervista al mitico allenatore Nick Bollettieri. Nick, ottantasei anni con ancora una brillante verve da sadico fustigatore di talenti, si racconta con molta indulgenza verso se stesso, ripercorrendo la storia dei campioni plasmati dalle sue mani, come Andrè Agassi, Jim Courier, Monica Seles e fra gli ultimi anche Boris Becker.

Nick è stato il fondatore della Bollettieri Tennis Academy, una scuola per aspiranti agonisti nella quale per molti anni ha cresciuto e formato, come fosse un padre putativo, molte future glorie del tennis. La figura controversa di Nick, noto per la sua avidità di successo e poca pratica con la gentilezza, viene prepotentemente fuori dalla stessa intervista. Nick racconta la sua predilezione verso il giovane e ribelle Andre Agassi – confermata anche dalle dichiarazioni di altri campioni intervistati -e anche la loro successiva controversa rottura. È stata una figura trasversale nelle vite di molte star della terra battuta, perché aveva il potere di farle sentire dei fuoriclasse e un attimo dopo quello di cancellare con un colpo di spugna i loro sogni di gloria.

Il documentario di Jason Kohn è pieno di inediti aneddoti sulle finali dei Grandi Slam, e sulle dinamiche psicologiche tra campioni. “Non c’è un orologio sulla tua carriera” era questo il memento che infondeva ad Andre Agassi quando non riusciva ancora a strappare la finale dei tornei. Agassi, riconosciuto da molti suoi colleghi come un imbattibile fuoriclasse, nel suo Open pubblicato qualche anno fa, aveva fatto coming out sul tennis, descrivendolo in verità come uno sport molto odiato. Love Means Zero è un documentario al quale Agassi non ha voluto partecipare, per via della sua rottura con l’ex allenatore, ma è di fatto la storia della sue imprese sportive.

Love Means Zero racconta la bellezza spietata di uno sport elitario come il tennis, dove non basta saper tenere una racchetta in mano.

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Cultura

21 giorni per rinascere

21 giorni per rinascere è l’ultima fatica letteraria del prof. Franco Berrino, e non solo. E’ un libro prezioso scritto con Daniel Lumera e David Mariani. E’ un percorso per cambiare vita, ringiovanire e occuparsi della propria salute. E’ un accompagnamento al cambiamento, un invito a volersi più bene sul serio. Un libro da leggere a settembre. E’ un po’ capodanno vero?

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Cambiare si può, spesso si desidera cambiare, ma è così difficile! Ci sono resistenze interne, un po’ di pigrizia, forse anche paura di non riuscirci davvero. O anche paura di riuscirci sul serio. Sarà capitato anche a voi di pensare di voler cambiare, ma di non riuscire a tradurre in azioni il nostro desiderio.

Quando si parla di cambiare abitudini si pensa facilmente alle dipendenze, al modo che abbiamo di alimentarci, alla nostra attività fisica. Bene, tutti in teoria – chi più chi meno – pensa di sapere in liena teorica cosa occorrerebbe fare, ma non sempre è così.

Iniziamo con un punto importante: per ottenere grandi cambiamenti dobbiamo iniziare a cambiare piccole abitudini; fare piccoli passi, un passo alla volta. Ma come si fa a creare una nuova abitudine? Per i nostri esperti, per Franco Berrino, Daniel Lumera e David Mariani per instaurare una nuova abitudine occorrono 21 giorni. Il giro di boa è 21 giorni.

E poi stacchiamoci dall’idea della privazione, che sa di punizione e le punizioni non piacciono veramente a nessuno. Pensiamo ad aggiungere: contemporaneamente aggiungendo, toglieremo. Aggiungendo della frutta secca alla colazione sarà più facile eliminare il cornetto per esempio. Oppure esplorando nuovi tipi di tè potremo limitare l’uso del caffè.

Piccoli gesti in direzione della nostra salute.

21 giorni per rinascere è una guida che vi accompagna verso la creazione di nuove abitudini. Fatevi un regalo, ne sarete felici.

Qui la nostra intervista al professor Franco Berrino.

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Cultura

La forma dell’acqua

Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio. […]

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Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio.

Siamo a Baltimora nel 1962, in piena Guerra Fredda, e gli americani catturano e segregano in un laboratorio governativo una strana creatura degli abissi, che secondo una sarebbe una divinità guaritrice.

Elisa (Sally Hawkins) è una timida ragazza muta che lavora come inserviente nel laboratorio. Ha due soli amici: la sua collega di colore Zelda, – Octavia Spencer, già premio Oscar, che ricordiamo per la sua magistrale interpretazione ne Il diritto di contare di Theodore Melfi – e Giles (Richard Jenkins) un vicino di casa discriminato in quanto omosessuale con il quale Elisa condivide la sua solitudine.

In questo laboratorio di spie americane e infiltrati del KGB, il capo – Michael Shannon, lo sceriffo di Animali Notturni di Tom Ford – è un cinico aguzzino che sevizia la creatura alla ricerca di chissà quale verità sulla sua natura. Sullo sfondo di questa “aliena” storia d’amore tra Elisa e l’uomo acquatico, Guillermo del Toro, con spirito messicano, dipinge il ritratto di un’America accecata dalla guerra e dal complottismo, tanto da non accorgersi che quella creatura è davvero la misteriosa forma di intelligenza di un altro mondo.

Elisa priva di voce si avvicina al mostro acquatico e riesce a stabilire con lui un contatto emotivo unico.

Ispirato dagli archetipi fiabeschi presenti nell’immaginario collettivo il regista ha dichiarato: “Volevo creare una storia bella ed elegante sulla speranza e sulla redenzione come antidoto al cinismo dei nostri tempi. Volevo che questa storia prendesse la forma di una fiaba, in cui un umile essere umano si trovasse a vivere un’avventura più grande e trascendente di qualsiasi altro evento della sua vita. Ho pensato che sarebbe stata una buona idea contrapporre quell’amore a qualcosa di tanto malvagio come l’odio tra le nazioni complice della Guerra Fredda, o l’avversione tra le persone causato dalle differenze di razza, colore, abilità e genere.”

 

È così che attraverso il fantasy Guillermo del Toro supera i limiti della realtà, fa appello agli amanti e ai sognatori di resistere al cinismo dei tempi, che tutto logora, e di trascinare fuori dagli abissi ancestrali delle nostre paure l’amore con la A maiuscola, l’amore capace di guarire e far rinascere.

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Cultura

Chiamami con il tuo nome: l’estate, il desiderio e l’amore.

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.

Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P. […]

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chiamami con il tuo nome

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.

Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P.

Invece prima di Chiamami col tuo nome, avevamo già cambiato opinione sul suo cinema con Io sono l’amore e A Bigger Splash, presentato a Venezia 72, che vedeva come protagonista una splendida Tilda Winston in versione rockstar in vacanza a Pantelleria. E anche in quell’occasione Guadagnino aveva fatto il pieno dei consensi presso la stampa estera e il pieno delle critiche in casa. Misteri del pensiero omologato probabilmente.

 

Chiamami col tuo nome è tratto dall’omonimo romanzo di Andrè Acìman che compare fugacemente anche nel film di Guadagnino. La sceneggiatura è stata adattata anche grazie al contributo dello scrittore e regista James Ivory che è anche produttore associato.

Nella trasposizione cinematografica il romanzo è ambientato a Crema città di residenza del regista, anziché in Liguria. La famiglia Perlman è una famiglia di colti borghesi illuminati che vive in un splendido casale di campagna. Siamo nell’estate del 1983 ed Elio, interpretato da Thimotée Chalamet, è un adolescente di 17 anni fuori dal comune, che passa l’estate a scrivere di musica, a leggere e a flirtare con Marzia. Oliver (Armie Hammer) è un aitante studente di archeologia del New England, che il padre di Elio ospita per aiutarlo a completare una tesi di dottorato.

Guadagnino ci fa fare un tuffo nostalgico nel passato, in una un’estate tipicamente italiana, fatta di corse sudate in bici, partite a pallavolo, bagni nel lago tra un canzone e l’altra della Bertè, gustose cene sotto le stelle e l’amore sognato che scoppia all’improvviso.

Chiamami col tuo nome è l’estate nel cuore che fa trepidare nei tormenti del primo amore, scivolare in profondi abissi e poi volare fino alle vertigini.

In Elio c’è la purezza di un adolescente così precocemente già pregno di cultura e bellezza da sentirsi fuori luogo in mezzo ai suoi coetanei. Il padre è un docente di archeologia e la madre Annella (interpretata da Amira Casar) è una donna che riflette lo stereotipo della moglie bella, accogliente, affettuosa e silente osservatrice.

Elio respira una libertà di espressione fuori dal comune per la società italiana di provincia degli anni ‘80. È chiaro che Guadagnino, ancora una volta, come in A Bigger Spalsh, ci fotografa l’estratto borghese di una classe sociale con uno stile di vita elitario.

All’arrivo di Oliver, Elio è costretto a dividere con lui la stanza; a primo acchito non vi è empatia fra i due, ma quasi un gioco di scherno. Elio si sente prevaricato dall’arrogante capacità di seduzione di Oliver, entrambi ostentano reciprocamente indifferenza nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che li travolgerà.

Chiamami col tuo nome è un film che ha avuto una lunga gestazione tra una scrittura e l’altra, i produttori Luca Spears e Howard Rosenman hanno letto il libro per la prima volta nel 2008. Nel 2014 James Ivory viene coinvolto negli adattamenti della sceneggiatura e quasi 9 anni dopo cominciano le riprese.

La location scelta da Guadagnino è una villa abbandonata a Moscazzano vicino Crema, che la set decorator Violante Visconti, nipote di Luchino, ha reso l’elegante villa di famiglia del XII secolo.

Nelle sue note di regia Guadagnino dice: “Mi piace pensare che Chiamami col tuo nome chiuda una trilogia di film sul desiderio, con Io sono l’amore e A Bigger Splash.

Mentre nei precedenti il desiderio spingeva al possesso, al rimpianto, al disprezzo, al bisogno di liberazione, in Chiamami col tuo nome abbiamo voluto esplorare l’idillio della giovinezza. Elio, Oliver e Marzia sono irretiti in quella splendida confusione che una volta Truman Capote ha descritto, affermando “l’amore, non avendo una mappa, non conosce confini”.

 

Ed è così che Elio scopre la felicità dell’amore rivelato ma anche il dolore bruciante della perdita, e poi del ritorno alle convenzioni sociali. È un amore che seppur breve rimarrà inciso nella memoria.

 

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