Cultura
Senza Fine

Quando dici Ornella Vanoni pensi di default a Senza fine, la canzone che un innamoratissimo Gino Paoli le dedicò. Una dichiarazione d’amore declinata in note che sarebbe diventata per tutti un attimo senza fine, ogni volta che la punta del giradischi avrebbe toccato il bordo del vinile.
Una bellissima ragazza, di Ornella Vanoni con Giancarlo Dotto, edito da Oscar Mondadori, è un libro del 2011 che non si può fare a meno di leggere. La biografia della Vanoni è un carillon di personaggi, alcuni famosi altri meno, che hanno costellato la vita dell’artista. Un viaggio, come tale è ogni vita vissuta, che fai fatica a ricordare per quanto ricca di avvenimenti.
Ornella parte dal ricordo confuso di una bomba caduta a Milano durante la seconda guerra mondiale, c’è lei che abbandona la sua bicicletta sul prato e salta in braccio al padre che la protegge dentro il suo “immenso e fortissimo” cappotto grigio.
Comincia da qui la biografia di una delle voci più singolari della canzone italiana, alter ego dell’inarrivabile Mina con la quale nel 2008 duettò in Amiche mai, ironizzando sulla leggenda che le vorrebbe antagoniste da sempre.
La sua vita da personaggio inizia quando ancora molto giovane frequenta un corso di teatro e Giorgio Strehler, che già allora era una leggenda vivente nel mondo del teatro, si innamora di lei. Strehler, incallito seduttore, era un adultero ancora legalmente sposato e di tredici anni più grande di lei (in Italia non esisteva ancora il divorzio). Stante i “trascurabili” dettagli intraprende con lei una storia molto chiacchierata. La Vanoni e Strehler diventano la coppia del Piccolo di Milano, il tempio della cultura meneghina, intorno al quale gravitavano alcuni tra i personaggi più influenti del Novecento come Bertolt Brecht, e poi lo scenografo Luciano Damiani, Bruno Maderna e altri.
La Vanoni sceglie di parlare di sé attraverso gli amori più importanti che ha vissuto, per quanto sia da sempre una donna forte e indipendente, gli uomini che l’hanno amata e meno amata diventano il paradigma della sua vita.
Da Strehler Ornella impara tutto, lui diventa il suo pigmalione e maestro. Ma una personalità ieratica e complessa come quella di Giorgio Strehler la fagocita nella controversa bellezza del suo mondo come nella ombrosa perversione che lo caratterizza. La Vanoni non fatica ad ammetterlo, fu per lei un grande maestro di vita ma anche un buco nero dal quale fuggire: “la mia storia con Strehler non è finita in modo indolore. Lui diceva: con te non posso vivere più, senza te non vivo più”. Io l’avevo tradito con Renato Salvatori. Nel letto me lo aveva messo Luchino Visconti (…)”
Il vero amore arriva come Il cielo in una stanza quando incontra Gino Paoli. Di lui Ornella ammette: “se il più grande amore è quello che ti ha fatto soffrire di più, allora Gino non ha rivali.”
Gino Paoli fu da giovane un poeta maledetto e traditore seriale, “uno con la vocazione del sultano”. Il colpo di fulmine arriva nella sede milanese della Ricordi, nel 1960. Entrambi si notano: “Gino va in studio, lo sento che suona qualcosa al piano. Orrendo. Suonava malissimo. Ma suonava Il cielo in una stanza. Chi è quello lì? Faccio. – Uno che scrive canzoni tremende, mi sa che è anche un po’ culattone – mi risponde uno. Nello stesso istante, lui chiedeva di là: Chi è quella rossa? – la cantante della mala. Dicono sia lesbica. – Per un po’ ci siamo frequentati convinti l’uno dell’omosessualità dell’altro.
Una bellissima ragazza ha la forma di un flusso di coscienza, Ornella si racconta in prima persona, quando non è fotografata dall’esterno dallo sguardo introspettivo di Giancarlo Dotto o dalla testimonianza di qualche sua amica. E in questo flusso di coscienza c’è un fermento esistenziale talmente ricco che risulta caotico. Messi i cardini dei suoi amori indimenticabili tra i quali spicca Hugo Pratt e un avvocato veneziano, la Vanoni passa in rassegna tutti i suoi amici e nemici, anche gli amori sbagliati “che dovrebbero durare tre settimane invece te li porti dietro tre anni”. Narra aneddoti, colpi di fulmine professionali, dolori, malattie e anche la sua conversione evangelista.
Dalla lettura della parte autobiografica del libro, il successo della Vanoni, insieme al vezzo dei piedi scalzi sul palco dei suoi concerti, sembra esser stato qualcosa di assolutamente casuale.
Una bellissima ragazza è un diario testimonianza che cita con nonchalance anche episodi che paparazzati a tempo debito avrebbero stroncato carriere a personaggi mitizzati.
La Vanoni usa un tocco di velata modestia solo quando parla di colleghe come Mina e Milva, unica moderata eccezione in mezzo a un flusso di ricordi incontinente che non usa filtri.
C’è poi la saudade sentimentale che ha fatto della Vanoni la Vanoni, lo spleen improvviso dell’artista che rende ogni canzone unica, quasi un omaggio al suo pubblico. Come quella volta lì che immersa nelle acque sulfuree delle Terme dei Papi, in mezzo a una nebbia di umidità dantesca, cominciò a cantare Che cosa c’è, e chi c’era cominciò a guardarsi intorno incredulo, senza capire se fosse vero o fosse solo un’allucinazione collettiva. Finché tra i vapori non spuntò lei e qualcuno entusiasta le disse: “Non può immaginare quante volte abbiamo fatto l’amore ascoltando le sue canzoni!”
Non è forse questo il successo?
Cultura
21 giorni per rinascere
21 giorni per rinascere è l’ultima fatica letteraria del prof. Franco Berrino, e non solo. E’ un libro prezioso scritto con Daniel Lumera e David Mariani. E’ un percorso per cambiare vita, ringiovanire e occuparsi della propria salute. E’ un accompagnamento al cambiamento, un invito a volersi più bene sul serio. Un libro da leggere a settembre. E’ un po’ capodanno vero?

Cambiare si può, spesso si desidera cambiare, ma è così difficile! Ci sono resistenze interne, un po’ di pigrizia, forse anche paura di non riuscirci davvero. O anche paura di riuscirci sul serio. Sarà capitato anche a voi di pensare di voler cambiare, ma di non riuscire a tradurre in azioni il nostro desiderio.
Quando si parla di cambiare abitudini si pensa facilmente alle dipendenze, al modo che abbiamo di alimentarci, alla nostra attività fisica. Bene, tutti in teoria – chi più chi meno – pensa di sapere in liena teorica cosa occorrerebbe fare, ma non sempre è così.
Iniziamo con un punto importante: per ottenere grandi cambiamenti dobbiamo iniziare a cambiare piccole abitudini; fare piccoli passi, un passo alla volta. Ma come si fa a creare una nuova abitudine? Per i nostri esperti, per Franco Berrino, Daniel Lumera e David Mariani per instaurare una nuova abitudine occorrono 21 giorni. Il giro di boa è 21 giorni.
E poi stacchiamoci dall’idea della privazione, che sa di punizione e le punizioni non piacciono veramente a nessuno. Pensiamo ad aggiungere: contemporaneamente aggiungendo, toglieremo. Aggiungendo della frutta secca alla colazione sarà più facile eliminare il cornetto per esempio. Oppure esplorando nuovi tipi di tè potremo limitare l’uso del caffè.
Piccoli gesti in direzione della nostra salute.
21 giorni per rinascere è una guida che vi accompagna verso la creazione di nuove abitudini. Fatevi un regalo, ne sarete felici.
Qui la nostra intervista al professor Franco Berrino.
Cultura
La forma dell’acqua
Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio. […]

Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio.
Siamo a Baltimora nel 1962, in piena Guerra Fredda, e gli americani catturano e segregano in un laboratorio governativo una strana creatura degli abissi, che secondo una sarebbe una divinità guaritrice.
Elisa (Sally Hawkins) è una timida ragazza muta che lavora come inserviente nel laboratorio. Ha due soli amici: la sua collega di colore Zelda, – Octavia Spencer, già premio Oscar, che ricordiamo per la sua magistrale interpretazione ne Il diritto di contare di Theodore Melfi – e Giles (Richard Jenkins) un vicino di casa discriminato in quanto omosessuale con il quale Elisa condivide la sua solitudine.
In questo laboratorio di spie americane e infiltrati del KGB, il capo – Michael Shannon, lo sceriffo di Animali Notturni di Tom Ford – è un cinico aguzzino che sevizia la creatura alla ricerca di chissà quale verità sulla sua natura. Sullo sfondo di questa “aliena” storia d’amore tra Elisa e l’uomo acquatico, Guillermo del Toro, con spirito messicano, dipinge il ritratto di un’America accecata dalla guerra e dal complottismo, tanto da non accorgersi che quella creatura è davvero la misteriosa forma di intelligenza di un altro mondo.
Elisa priva di voce si avvicina al mostro acquatico e riesce a stabilire con lui un contatto emotivo unico.
Ispirato dagli archetipi fiabeschi presenti nell’immaginario collettivo il regista ha dichiarato: “Volevo creare una storia bella ed elegante sulla speranza e sulla redenzione come antidoto al cinismo dei nostri tempi. Volevo che questa storia prendesse la forma di una fiaba, in cui un umile essere umano si trovasse a vivere un’avventura più grande e trascendente di qualsiasi altro evento della sua vita. Ho pensato che sarebbe stata una buona idea contrapporre quell’amore a qualcosa di tanto malvagio come l’odio tra le nazioni complice della Guerra Fredda, o l’avversione tra le persone causato dalle differenze di razza, colore, abilità e genere.”
È così che attraverso il fantasy Guillermo del Toro supera i limiti della realtà, fa appello agli amanti e ai sognatori di resistere al cinismo dei tempi, che tutto logora, e di trascinare fuori dagli abissi ancestrali delle nostre paure l’amore con la A maiuscola, l’amore capace di guarire e far rinascere.
Cultura
Chiamami con il tuo nome: l’estate, il desiderio e l’amore.
Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.
Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P. […]

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.
Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P.
Invece prima di Chiamami col tuo nome, avevamo già cambiato opinione sul suo cinema con Io sono l’amore e A Bigger Splash, presentato a Venezia 72, che vedeva come protagonista una splendida Tilda Winston in versione rockstar in vacanza a Pantelleria. E anche in quell’occasione Guadagnino aveva fatto il pieno dei consensi presso la stampa estera e il pieno delle critiche in casa. Misteri del pensiero omologato probabilmente.
Chiamami col tuo nome è tratto dall’omonimo romanzo di Andrè Acìman che compare fugacemente anche nel film di Guadagnino. La sceneggiatura è stata adattata anche grazie al contributo dello scrittore e regista James Ivory che è anche produttore associato.
Nella trasposizione cinematografica il romanzo è ambientato a Crema città di residenza del regista, anziché in Liguria. La famiglia Perlman è una famiglia di colti borghesi illuminati che vive in un splendido casale di campagna. Siamo nell’estate del 1983 ed Elio, interpretato da Thimotée Chalamet, è un adolescente di 17 anni fuori dal comune, che passa l’estate a scrivere di musica, a leggere e a flirtare con Marzia. Oliver (Armie Hammer) è un aitante studente di archeologia del New England, che il padre di Elio ospita per aiutarlo a completare una tesi di dottorato.
Guadagnino ci fa fare un tuffo nostalgico nel passato, in una un’estate tipicamente italiana, fatta di corse sudate in bici, partite a pallavolo, bagni nel lago tra un canzone e l’altra della Bertè, gustose cene sotto le stelle e l’amore sognato che scoppia all’improvviso.
Chiamami col tuo nome è l’estate nel cuore che fa trepidare nei tormenti del primo amore, scivolare in profondi abissi e poi volare fino alle vertigini.
In Elio c’è la purezza di un adolescente così precocemente già pregno di cultura e bellezza da sentirsi fuori luogo in mezzo ai suoi coetanei. Il padre è un docente di archeologia e la madre Annella (interpretata da Amira Casar) è una donna che riflette lo stereotipo della moglie bella, accogliente, affettuosa e silente osservatrice.
Elio respira una libertà di espressione fuori dal comune per la società italiana di provincia degli anni ‘80. È chiaro che Guadagnino, ancora una volta, come in A Bigger Spalsh, ci fotografa l’estratto borghese di una classe sociale con uno stile di vita elitario.
All’arrivo di Oliver, Elio è costretto a dividere con lui la stanza; a primo acchito non vi è empatia fra i due, ma quasi un gioco di scherno. Elio si sente prevaricato dall’arrogante capacità di seduzione di Oliver, entrambi ostentano reciprocamente indifferenza nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che li travolgerà.
Chiamami col tuo nome è un film che ha avuto una lunga gestazione tra una scrittura e l’altra, i produttori Luca Spears e Howard Rosenman hanno letto il libro per la prima volta nel 2008. Nel 2014 James Ivory viene coinvolto negli adattamenti della sceneggiatura e quasi 9 anni dopo cominciano le riprese.
La location scelta da Guadagnino è una villa abbandonata a Moscazzano vicino Crema, che la set decorator Violante Visconti, nipote di Luchino, ha reso l’elegante villa di famiglia del XII secolo.
Nelle sue note di regia Guadagnino dice: “Mi piace pensare che Chiamami col tuo nome chiuda una trilogia di film sul desiderio, con Io sono l’amore e A Bigger Splash.
Mentre nei precedenti il desiderio spingeva al possesso, al rimpianto, al disprezzo, al bisogno di liberazione, in Chiamami col tuo nome abbiamo voluto esplorare l’idillio della giovinezza. Elio, Oliver e Marzia sono irretiti in quella splendida confusione che una volta Truman Capote ha descritto, affermando “l’amore, non avendo una mappa, non conosce confini”.
Ed è così che Elio scopre la felicità dell’amore rivelato ma anche il dolore bruciante della perdita, e poi del ritorno alle convenzioni sociali. È un amore che seppur breve rimarrà inciso nella memoria.
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