In Evidenza
Alzheimer: la bevanda nutraceutica che mantiene (in parte) le sue promesse

Difficile non essere un po’ prevenuti quando si legge uno studio medico su di un prodotto. A maggior ragione se questo prodotto è di una nota multinazionale (Danone, con la sua divisione di nutrizione medica Nutricia) e non di una casa farmaceutica. Ancora di più se è commercializzato e disponibile, anche su Internet, al prezzo relativamente modico di circa tre euro a bottiglietta. Impossibile però ignorare uno studio europeo i cui risultati, promettenti, sono appena stati pubblicati da una delle più importanti e autorevoli riviste scientifiche: The Lancet Neurology.
Il prodotto in questione è il Souvenaid. Un “cocktail” nutraceutico, ovvero un complesso di nutrienti a fini medici, che contiene un mix di acidi grassi omega 3, fosfolipidi, antiossidanti, vitamine del gruppo B (B6, B12 e acido folico), vitamine C ed E, selenio, colina e uridina monofosfato. Tutte sostanze che stimolano la formazione, il mantenimento e il funzionamento dei collegamenti tra i neuroni.
Partendo dal presupposto che l’alimentazione è un importante fattore di rischio modificabile nell’Alzheimer, il team di ricercatori europei che ha condotto lo studio clinico “LipiDiDiet”, capitanato dal tedesco Tobias Hartmann, a capo del dipartimento di neurologia sperimentale dell’Università di Homburg, ha testato il principio attivo della bevanda, su pazienti che mostravano segni annunciatori della malattia. L’esperimento, multicentrico e randomizzato, finanziato dall’Unione europea ha coinvolto 311 pazienti di quattro paesi diversi (Germania, Olanda, Svezia e Finlandia). Un primo gruppo ha assunto per due anni una dose giornaliera di Fortasyn Connect, il principio attivo della bevanda miracolo. E un secondo, il gruppo controllo, ha ricevuto semplicemente una bibita con pari calorie ma senza principio attivo.
I risultati dello studio sono stati, solo in parte, concludenti. Nell’articolo scientifico, pubblicato il 30 ottobre su Lancet Neurology, i ricercatori stessi ammettono che il loro primo obiettivo non è andato a buon fine. Fortasyn Connect non ha migliorato i risultati della batteria di test neuropsicologici con cui si monitora il decorso della malattia.
Raggiunto al telefono da Pensallasalute.com il Dr Hartmann ha imputato la sconfitta a “problemi tecnici”. “Il declino cognitivo dei pazienti del gruppo controllo è stato inferiore alle attese”, ovvero differenze sostanziali fra le performance dei due gruppi non ci sono state. Almeno per questo tipo di test.
Tuttavia sono stati riscontrati altri benefici “molto importanti”, aggiunge il neurologo tedesco.
Nelle persone che hanno assunto la bevanda l’atrofia cerebrale è stata inferiore. In particolare, il restringimento dell’ippocampo, importante sede della memoria, è stato inferiore del 26% rispetto al gruppo controllo
Sembra dunque che dei risultati positivi sul rallentamento del processo degenerativo tipico dell’Alzheimer ci siano stati. E che questi vadano oltre al semplice aspetto sintomatico.
Il Dr Hartmann riferisce anche che i pazienti sotto Fortasyn Connect “hanno riscontrato una differenza nel loro vita quotidiana”: si sono sentiti più a loro agio al momento di controllare i loro conti bancari o con altre operazioni di routine che per le persone in declino cognitivo diventano sempre più complicate con il progredire della malattia. Secondo il neurologo, se i pazienti sono trattati in maniera precoce, i benefici potrebbero essere “ancora migliori”. Per questo motivo, “una diagnosi tempestiva di un’eventuale demenza” è la cosa più importante: in ogni modo “evitate le auto-diagnosi!” sarà il vostro medico a consigliare una terapia adeguata.
Aggiornamento del 12/12/2017:
La bevanda di cui abbiamo parlato nell’articolo è ora in vendita anche online su Amazon, eccovi il link per trovarla!
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Approfondimenti
I disturbi mentali: quali differenze tra gli uomini e le donne?
Affrontare il problema della salute mentale di genere è un compito difficile.
«Essendo la patologia mentale più frequente nelle donne, oggi prevale l’attenzione – anche della ricerca scientifica – sul genere femminile. Anche perché fa più notizia». Lo afferma Emilio Sacchetti, professore emerito di psichiatria all’ Università di Brescia, presidente della Società Italiana di Psichiatria Geriatrica, della Accademia di Scienze delle Dipendenze Comportamentali e past president della Società italiana di psichiatria (Sip), con il quale abbiamo cercato di focalizzare gli aspetti di un problema troppo trascurato. […]

Affrontare il problema della salute mentale di genere è un compito difficile.
«Essendo la patologia mentale più frequente nelle donne, oggi prevale l’attenzione – anche della ricerca scientifica – sul genere femminile. Anche perché fa più notizia». Lo afferma Emilio Sacchetti, professore emerito di psichiatria all’ Università di Brescia, presidente della Società Italiana di Psichiatria Geriatrica, della Accademia di Scienze delle Dipendenze Comportamentali e past president della Società italiana di psichiatria (Sip), con il quale abbiamo cercato di focalizzare gli aspetti di un problema troppo trascurato.
Professor Sacchetti, come si distribuiscono le malattie mentali tra i sessi?
Complessivamente, i disturbi mentali sono più frequenti nelle donne, ma alcuni prevalgono tra gli uomini.
La dipendenza dalle sostanze è una problematica tipicamente maschile, così come i disturbi dello spettro autistico. I disturbi d’ansia, le depressioni maggiori, i disturbi ossessivo-compulsivi si manifestano più spesso nel sesso femminile, invece alcuni tipi di demenza, in particolare quelle di origine vascolare, mostrano un eccesso tra gli uomini.
Anche i decessi per suicidio sono nettamente superiori tra gli uomini. Secondo i dati del National Institute of Mental Health, nei paesi occidentali gli uomini si uccidono quattro volte maggiormente rispetto alle donne, che però tentano il suicidio con più frequenza. Ovviamente entrano in gioco tanti fattori: influiscono la biologia, la genetica, ma anche le condizioni sociali e culturali.
Un’altra cosa interessante è che la distribuzione per genere delle patologie mentali varia con l’età. I disturbi dell’età infantile tendono a essere più diffusi nel sesso maschile: questo vale, oltre che per l’autismo, anche per la sindrome da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). Col passare degli anni la situazione si rovescia.
Infine segnalo una curiosità: pochi sanno che esiste una depressione da parto maschile: durante la gravidanza della compagna e subito dopo il parto è frequente lo sviluppo di sindromi depressive, legate a preoccupazioni per il bambino e a diversi altri fattori.
Parlando di salute mentale al maschile inevitabilmente si pensa all’abuso di sostanze…
Certo, come si diceva, l’abuso e la dipendenza dalle sostanze prevale quasi sempre negli uomini, ma andrebbe fatto un discorso a parte per ogni tipo di sostanza. La dipendenza da sedativi, ad esempio, è più frequente nelle donne e la differenza è maggiore nelle fasce d’età più giovani, mentre tende a livellarsi col passare degli anni.
L’alcol una volta era di utilizzo molto maschile, oggi molto meno perché certe attitudini sociali sono cambiate; inoltre le donne, pur bevendo di meno, sono più a rischio di eventi avversi correlati perché sono svantaggiate da una massa e un distribuzione dei tessuti diversa.
In generale, il consumo delle sostanze più pesanti, costose e di difficile accesso prevale tra gli uomini: intervengono certamente fattori culturali e anche economici. Invece, riguardo alla cosiddette sostanze leggere per le quali c’è una maggiore accettazione sociale, le barriere si riducono e anche per le donne sono più facilmente gestibili.
Molte malattie mentali restano non diagnosticate e quindi non curate…
Molte persone, di entrambi i sessi, non si rivolgono al medico nonostante soffrano di disturbi della sfera mentale ed emotiva. Questo rappresenta senz’altro un problema perché oggi esistono cure efficaci e sicure per molti disturbi. Anche in questo caso, il discorso andrebbe differenziato per patologia, perché alcune risentono di un maggiore stigma sociale e chi ne soffre trova maggiore difficoltà ad ammetterlo e ad affrontare il problema con uno specialista.
Se questo vale per entrambi i sessi, in genere la donna è più propensa a rivolgersi al medico rispetto all’uomo. L’uomo tende a farsi curare solo quando ha sintomi più acuti. Difficile dire se dipenda da una maggiore tolleranza degli uomini (per esempio i disturbi da stress sono segnalati maggiormente dalle donne) oppure se influiscano fattori culturali che rendono più difficile all’uomo ammettere certe disturbi che sono avvertiti come debolezze. Però questo comporta delle conseguenze: è un dato di fatto che le forme più gravi e trattate in acuto sono più frequenti negli uomini, perché le donne si curano di più.
In Evidenza
Il biotestamento: in quali comuni è già attivo il registro, cos’è il DAT e come si compila il modulo.

La legge sul fine vita è stata definitivamente approvata giovedì al Senato con 180 voti a favore, 71 contrari e 6 astenuti.
“Da oggi, il diritto costituzionale a sospendere le cure, e a farlo anche attraverso un testamento biologico, è immediatamente applicabile” hanno dichiarato Filomena Gallo e Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni.
Al momento secondo le informazioni in possesso all’ Associazione Luca Coscioni in Italia sono 187 i Comuni ad aver attivato il registro relativo al testamento Biologico. Un servizio in grado così di raggiungere 11.515.571 cittadini italiani. Il podio delle regioni con più registri attivi è occupato da: Emilia-Romagna (40), Toscana (30) e Lombardia (17).
L’ Associazione ne ha raccolti finora oltre 8mila, non noto al momento il numero di testamenti depositati a livello nazionale, perché anche laddove non vi siano registri comunali, le persone possono comunque essersi già rivolti a un notaio per comunicare le proprie decisioni sul “fine vita”.
“Fra i punti su cui si è maggiormente battuta Associazione Luca Coscioni, promotrice e più attiva sostenitrice della legge, figura il fatto che queste disposizioni possano rappresentare informazioni incontestabili da inserire direttamente in cartella sanitaria. Passata la legge, chiaramente, ora hanno validità retroattiva tutti i testamenti sinora depositati” dichiara Filomena Gallo.
La nuova legge sul biotestamento prevede la possibilità di redigere delle disposizioni anticipate di trattamento (Dat) in previsione di un’eventuale incapacità di poter scegliere se e come farsi curare.
Ma cos’è un DAT? Come è fatto il modulo?
Lo vediamo insieme in questa mini guida alla compilazione.
La prima parte è naturalmente dedicata ai propri dati personali:
IL CONSENSO INFORMATO
Dichiarazione di voler essere informato o meno sul proprio stato di salute e sulle aspettative di vita. Nel caso in cui non si volesse sapere nulla, si nomina una persona di fiducia.
Si può scegliere di voler sapere tutti i rischi e tutti i vantaggi degli esami diagnostici o delle terapie proposte.
Si possono indicare le persone che possono ricevere informazioni sul proprio stato di salute, senza limiti o vincoli di parentela.
DISPOSIZIONI GENERALI: IL POTERE DIRE DI “NO” A TUTTI I TRATTAMENTI
Il paziente potrà, se maggiorenne, accettare o rifiutare qualsiasi esame diagnostico o trattamento. Sono considerate come cure anche la nutrizione e l’idratazione artificiali. Possono quindi essere rifiutati o sospesi, se il paziente lo richiede. Questo punto è particolarmente importante ed è stato a lungo oggetto di dibattito in seguito al caso Eluana Englaro. La giovane, vittima di un incidente stradale, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, grazie a un sondino nasogastrico, fino alla morte sopravvenuta per disidratazione dopo la sospensione dell’alimentazione artificiale. La richiesta da parte del padre di Eluana di lasciare morire la figlia era stata più volte respinta proprio perché, fino ad ora, l’alimentazione e l’idratazione non erano equiparate a cure mediche. Invece con questa legge sì. Può disporre che i trattamenti siano iniziati o mantenuti a seconda dei casi: stato di incoscienza permanente senza possibilità di recupero, stato di demenza avanzata, paralisi con impossibilità totale di comunicare verbalmente, per iscritto o con mezzi tecnologici.
DISPOSIZIONI PARTICOLARI
E’ riconosciuto il diritto ad abbandonare le terapie. Può scegliere se essere sottoposto o meno alla terapia del dolore e alle cure palliative, anche sotto forma di sedazione profonda continuata.
Si può scegliere se sottoporsi o meno ai seguenti trattamenti: terapia del dolore compreso l’uso di farmaci oppiacei, rianimazione cardiopolmonare, respirazione meccanica, idratazione e nutrizione artificiali, dialisi, trasfusioni, interventi di chirurgia d’urgenza. Attenzione, il tema dell’arresto cardiocircolatorio è un argomento delicato: nella controversia tra i favorevoli e i contrari alla legge è stato spesso preso in esame. Quando si parla di rianimazione, non sono incluse tutte le situazioni in cui una persona può essere rianimata, ma solo circoscritte a condizioni terminali; non si sta discutendo se essere rianimati o meno, per esempio, nel caso di un infarto che può avvenire mentre si cammina per strada. Le condizioni sono: malattia allo stadio terminale, o una lesione cerebrale invalidante e irreversibile, o una malattia che necessiti l’utilizzo permanente di macchine o in uno stato di permanente incoscienza.
Le Dat prevedono inoltre la nomina di un fiduciario che farà le veci del paziente presso i medici e le strutture sanitarie competenti, nel caso in cui questi si trovi nell’impossibilità di esprimere le proprie volontà.
ASSISTENZA RELIGIOSA
Si potrà indicare se e quale tipo di assistenza religiosa ricevere.
DISPOSIZIONI DOPO LA MORTE
Si potrà decidere l’autorizzazione per trapianto di organi o per l’utilizzo del proprio corpo a fini scientifici o didattici. Si potrà decidere se essere inumati o cremati.
Qui potete visualizzare e scaricare il modulo DAT completo:
[pdf-embedder url=”https://pensallasalute.com/wp-content/uploads/2017/12/Modulo_DAT-1.pdf” title=”Modulo_DAT (1)”]
In Evidenza
Donne e medicina: come gli stereotipi influenzano le diagnosi
Ci sembrano lontani dal mondo della scienza e della medicina. Invece sono anche lì. Si chiamano pregiudizi, stereotipi, rappresentazioni sociali. Le donne ne sono spesso le vittime inconsapevoli. In particolare, il rischio cardiovascolare è, a volte, sottovalutato nella popolazione femminile. Ne abbiamo parlato con la ricercatrice francese Catherine Vidal, neurobiologa all’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica (Inserm) di Parigi e co-autrice con Muriel Salle, storica della medicina, di Femmes et santé: encore une affaire d’hommes? (Belin éditeur). […]

Ci sembrano lontani dal mondo della scienza e della medicina. Invece sono anche lì. Si chiamano pregiudizi, stereotipi, rappresentazioni sociali. Le donne ne sono spesso le vittime inconsapevoli. In particolare, il rischio cardiovascolare è, a volte, sottovalutato nella popolazione femminile. Ne abbiamo parlato con la ricercatrice francese Catherine Vidal, neurobiologa all’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica (Inserm) di Parigi e co-autrice con Muriel Salle, storica della medicina, di Femmes et santé: encore une affaire d’hommes? (Belin éditeur).
Rischio di gravidanza, cambiamenti ormonali. Con queste “scuse” le donne sono spesso state escluse a priori dagli studi clinici.
È vero. Ma le cose stanno cambiando. Il primo passo è stato fatto nel 1993, con la promulgazione da parte del Congresso americano di una legge che ha reso obbligatoria l’inclusione delle donne nei trial clinici. Certo, la proporzione non è ancora di 50-50 ma ce ne sono almeno un terzo. Merito anche dei movimenti femministi. Dalla contraccezione all’aborto, la loro riflessione si è allargata ad altri campi della salute, in particolare a quello delle malattie cardiovascolari che erano, e sono tuttora, la prima causa di mortalità fra le donne. È stato dimostrato che l’infarto del miocardio è sotto-diagnosticato presso la popolazione femminile.
Per quale motivo il rischio cardiovascolare non è preso in considerazione come dovrebbe?
Per un problema di rappresentazioni sociali sbagliate che hanno a lungo fatto ritenere che l’infarto del miocardio fosse essenzialmente una malattia da uomo stressato al lavoro. Non è così: 56% delle donne sono vittime di malattie cardiovascolari contro 46% degli uomini. Gli stessi sintomi di affaticamento e dolori al torace sfociano, per le donne più spesso che per gli uomini, su ricette a base di ansiolitici. Mentre gli uomini vengono mandati dal cardiologo. E salvati.
Anche i medici quindi sono vittime degli stereotipi?
Negli studi di medicina, così come nei corsi di aggiornamento, non c’è una formazione sufficiente che renda consapevoli gli studenti del fatto che le rappresentazioni sociali del maschile e del femminile influenzano anche il modo in cui i pazienti esprimono i loro sintomi. Così come le pazienti non sono sufficientemente informate sul rischio cardiovascolare. Per questo il gruppo di lavoro “Genere e ricerca in campo sanitario” dell’Inserm ha organizzato, in novembre, un congresso internazionale sul tema e realizzato dei brevi video per sensibilizzare medici e pazienti.
Esistono altri tipi di patologie per le quali le rappresentazioni sociali influenzano la diagnosi?
Certamente. Se l’infarto del miocardio è sotto-diagnosticato nelle donne, invece la depressione è sotto-diagnosticata negli uomini che non hanno lo stesso modo di esprimere la loro ansia. Non solo le lacrime e la tristezza ma anche l’aggressività, l’abuso di alcol e di droghe così come l’avere dei comportamenti a rischio sono indizi di depressione. Anche l’osteoporosi, associata alla donna in menopausa, è sotto-diagnosticata negli uomini quando invece un terzo delle fratture dell’anca negli uomini è proprio dovuto a questa patologia.
Tornando agli studi clinici, è vero che le donne sono più spesso vittime degli effetti secondari dei farmaci che gli uomini?
Sì. Questa maggiore sensibilità è semplicemente dovuta alla loro morfologia – la ripartizione nel loro corpo di muscoli e grasso non è la stessa che per gli uomini- e al fatto che sono generalmente più piccole. Assumendo un farmaco a pari concentrazione di principio attivo una donna lo metabolizza più difficilmente e più lentamente di un uomo.
Riassumendo, dobbiamo imparare tutti a non essere vittime dei pregiudizi e delle rappresentazioni sociali anche quando si parla di salute.
Ma ricordiamoci anche che le disuguaglianze uomo-donna non sono solo dovute a dei fattori sociologici ma anche a dei fattori economici. Più spesso degli uomini, le donne si ritrovano in situazione di precarietà. Molte di loro allevano sole i propri figli. In tante hanno lavori part-time o sopravvivono con piccole pensioni. Queste donne trascurano la prevenzione, si alimentano male e rinunciano alle cure. Oltre che in situazione di precarietà economica sono anche in situazione di povertà sanitaria.
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