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Cultura

21 giorni per rinascere

21 giorni per rinascere è l’ultima fatica letteraria del prof. Franco Berrino, e non solo. E’ un libro prezioso scritto con Daniel Lumera e David Mariani. E’ un percorso per cambiare vita, ringiovanire e occuparsi della propria salute. E’ un accompagnamento al cambiamento, un invito a volersi più bene sul serio. Un libro da leggere a settembre. E’ un po’ capodanno vero?

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emozioni

Cambiare si può, spesso si desidera cambiare, ma è così difficile! Ci sono resistenze interne, un po’ di pigrizia, forse anche paura di non riuscirci davvero. O anche paura di riuscirci sul serio. Sarà capitato anche a voi di pensare di voler cambiare, ma di non riuscire a tradurre in azioni il nostro desiderio.

Quando si parla di cambiare abitudini si pensa facilmente alle dipendenze, al modo che abbiamo di alimentarci, alla nostra attività fisica. Bene, tutti in teoria – chi più chi meno – pensa di sapere in liena teorica cosa occorrerebbe fare, ma non sempre è così.

Iniziamo con un punto importante: per ottenere grandi cambiamenti dobbiamo iniziare a cambiare piccole abitudini; fare piccoli passi, un passo alla volta. Ma come si fa a creare una nuova abitudine? Per i nostri esperti, per Franco Berrino, Daniel Lumera e David Mariani per instaurare una nuova abitudine occorrono 21 giorni. Il giro di boa è 21 giorni.

E poi stacchiamoci dall’idea della privazione, che sa di punizione e le punizioni non piacciono veramente a nessuno. Pensiamo ad aggiungere: contemporaneamente aggiungendo, toglieremo. Aggiungendo della frutta secca alla colazione sarà più facile eliminare il cornetto per esempio. Oppure esplorando nuovi tipi di tè potremo limitare l’uso del caffè.

Piccoli gesti in direzione della nostra salute.

21 giorni per rinascere è una guida che vi accompagna verso la creazione di nuove abitudini. Fatevi un regalo, ne sarete felici.

Qui la nostra intervista al professor Franco Berrino.

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1 Comment

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  1. flavia bisogni

    10 Settembre 2018 at 12:15

    Persona splendida, dalle sue parole può nascere l’ispirazione per desiderare fino in fondo il desiderio del cambiamento. Grazie

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Cultura

La forma dell’acqua

Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio. […]

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la forma dell'acqua

Ogni storia d’amore ha la sua forma, la sua natura e parla la sua lingua. È questa la favola di The shape of water, (la forma dell’acqua) l’ultimo film del visionario Guillermo del Toro, Leone d’oro alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia e già candidato a 13 nomination agli Oscar, in uscita il prossimo 14 febbraio.

Siamo a Baltimora nel 1962, in piena Guerra Fredda, e gli americani catturano e segregano in un laboratorio governativo una strana creatura degli abissi, che secondo una sarebbe una divinità guaritrice.

Elisa (Sally Hawkins) è una timida ragazza muta che lavora come inserviente nel laboratorio. Ha due soli amici: la sua collega di colore Zelda, – Octavia Spencer, già premio Oscar, che ricordiamo per la sua magistrale interpretazione ne Il diritto di contare di Theodore Melfi – e Giles (Richard Jenkins) un vicino di casa discriminato in quanto omosessuale con il quale Elisa condivide la sua solitudine.

In questo laboratorio di spie americane e infiltrati del KGB, il capo – Michael Shannon, lo sceriffo di Animali Notturni di Tom Ford – è un cinico aguzzino che sevizia la creatura alla ricerca di chissà quale verità sulla sua natura. Sullo sfondo di questa “aliena” storia d’amore tra Elisa e l’uomo acquatico, Guillermo del Toro, con spirito messicano, dipinge il ritratto di un’America accecata dalla guerra e dal complottismo, tanto da non accorgersi che quella creatura è davvero la misteriosa forma di intelligenza di un altro mondo.

Elisa priva di voce si avvicina al mostro acquatico e riesce a stabilire con lui un contatto emotivo unico.

Ispirato dagli archetipi fiabeschi presenti nell’immaginario collettivo il regista ha dichiarato: “Volevo creare una storia bella ed elegante sulla speranza e sulla redenzione come antidoto al cinismo dei nostri tempi. Volevo che questa storia prendesse la forma di una fiaba, in cui un umile essere umano si trovasse a vivere un’avventura più grande e trascendente di qualsiasi altro evento della sua vita. Ho pensato che sarebbe stata una buona idea contrapporre quell’amore a qualcosa di tanto malvagio come l’odio tra le nazioni complice della Guerra Fredda, o l’avversione tra le persone causato dalle differenze di razza, colore, abilità e genere.”

 

È così che attraverso il fantasy Guillermo del Toro supera i limiti della realtà, fa appello agli amanti e ai sognatori di resistere al cinismo dei tempi, che tutto logora, e di trascinare fuori dagli abissi ancestrali delle nostre paure l’amore con la A maiuscola, l’amore capace di guarire e far rinascere.

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Cultura

Chiamami con il tuo nome: l’estate, il desiderio e l’amore.

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.

Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P. […]

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chiamami con il tuo nome

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, candidato con 4 nomination agli Oscar 2018, è uno di quei film che rimarrà nella storia del cinema come una delle pellicole più romantiche degli ultimi dieci anni.

Luca Guadagnino regista siciliano tanto amato all’estero quanto criticato dalla stampa italiana, è uno di quei cineasti sul quale non avremmo scommesso più di tanto al suo debutto con Melissa P.

Invece prima di Chiamami col tuo nome, avevamo già cambiato opinione sul suo cinema con Io sono l’amore e A Bigger Splash, presentato a Venezia 72, che vedeva come protagonista una splendida Tilda Winston in versione rockstar in vacanza a Pantelleria. E anche in quell’occasione Guadagnino aveva fatto il pieno dei consensi presso la stampa estera e il pieno delle critiche in casa. Misteri del pensiero omologato probabilmente.

 

Chiamami col tuo nome è tratto dall’omonimo romanzo di Andrè Acìman che compare fugacemente anche nel film di Guadagnino. La sceneggiatura è stata adattata anche grazie al contributo dello scrittore e regista James Ivory che è anche produttore associato.

Nella trasposizione cinematografica il romanzo è ambientato a Crema città di residenza del regista, anziché in Liguria. La famiglia Perlman è una famiglia di colti borghesi illuminati che vive in un splendido casale di campagna. Siamo nell’estate del 1983 ed Elio, interpretato da Thimotée Chalamet, è un adolescente di 17 anni fuori dal comune, che passa l’estate a scrivere di musica, a leggere e a flirtare con Marzia. Oliver (Armie Hammer) è un aitante studente di archeologia del New England, che il padre di Elio ospita per aiutarlo a completare una tesi di dottorato.

Guadagnino ci fa fare un tuffo nostalgico nel passato, in una un’estate tipicamente italiana, fatta di corse sudate in bici, partite a pallavolo, bagni nel lago tra un canzone e l’altra della Bertè, gustose cene sotto le stelle e l’amore sognato che scoppia all’improvviso.

Chiamami col tuo nome è l’estate nel cuore che fa trepidare nei tormenti del primo amore, scivolare in profondi abissi e poi volare fino alle vertigini.

In Elio c’è la purezza di un adolescente così precocemente già pregno di cultura e bellezza da sentirsi fuori luogo in mezzo ai suoi coetanei. Il padre è un docente di archeologia e la madre Annella (interpretata da Amira Casar) è una donna che riflette lo stereotipo della moglie bella, accogliente, affettuosa e silente osservatrice.

Elio respira una libertà di espressione fuori dal comune per la società italiana di provincia degli anni ‘80. È chiaro che Guadagnino, ancora una volta, come in A Bigger Spalsh, ci fotografa l’estratto borghese di una classe sociale con uno stile di vita elitario.

All’arrivo di Oliver, Elio è costretto a dividere con lui la stanza; a primo acchito non vi è empatia fra i due, ma quasi un gioco di scherno. Elio si sente prevaricato dall’arrogante capacità di seduzione di Oliver, entrambi ostentano reciprocamente indifferenza nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che li travolgerà.

Chiamami col tuo nome è un film che ha avuto una lunga gestazione tra una scrittura e l’altra, i produttori Luca Spears e Howard Rosenman hanno letto il libro per la prima volta nel 2008. Nel 2014 James Ivory viene coinvolto negli adattamenti della sceneggiatura e quasi 9 anni dopo cominciano le riprese.

La location scelta da Guadagnino è una villa abbandonata a Moscazzano vicino Crema, che la set decorator Violante Visconti, nipote di Luchino, ha reso l’elegante villa di famiglia del XII secolo.

Nelle sue note di regia Guadagnino dice: “Mi piace pensare che Chiamami col tuo nome chiuda una trilogia di film sul desiderio, con Io sono l’amore e A Bigger Splash.

Mentre nei precedenti il desiderio spingeva al possesso, al rimpianto, al disprezzo, al bisogno di liberazione, in Chiamami col tuo nome abbiamo voluto esplorare l’idillio della giovinezza. Elio, Oliver e Marzia sono irretiti in quella splendida confusione che una volta Truman Capote ha descritto, affermando “l’amore, non avendo una mappa, non conosce confini”.

 

Ed è così che Elio scopre la felicità dell’amore rivelato ma anche il dolore bruciante della perdita, e poi del ritorno alle convenzioni sociali. È un amore che seppur breve rimarrà inciso nella memoria.

 

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Cultura

Cassandra di Christa Wolf – Visionaria, Intelligente e Inascoltata

“Finora tutto ciò che mi è accaduto ha trovato la sua corrispondenza dentro di me. Questo è il segreto che mi attanaglia e mi sorregge, e non sono mai riuscita a parlarne con nessuno. Solo qui, sul limite estremo della vita, posso nominarlo: poiché c’è qualcosa di ognuno dentro di me, non sono mai stata completamente di nessuno, e sono arrivata a comprendere persino l’odio che provavano per me.” […]

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cassandra christa wolf

Finora tutto ciò che mi è accaduto ha trovato la sua corrispondenza dentro di me. Questo è il segreto che mi attanaglia e mi sorregge, e non sono mai riuscita a parlarne con nessuno. Solo qui, sul limite estremo della vita, posso nominarlo: poiché c’è qualcosa di ognuno dentro di me, non sono mai stata completamente di nessuno, e sono arrivata a comprendere persino l’odio che provavano per me.”

Con queste parole espresse in prima persona, Christa Wolf ci racconta la sua Cassandra. Il mito della sacerdotessa del Tempio di Apollo, che lungo i secoli è stata invisa perché reputata, erroneamente, solo la veggente di terribili sventure. Cassandra ritrova nella potente e evocativa scrittura di Christa Wolf il suo giusto riconoscimento nella storia del mito.

È qui che Cassandra, lungo il viaggio che la conduce prigioniera a Micene, dopo che Troia è stata espugnata, ricostruisce per flashback i dieci lunghi anni della guerra del padre Priamo contro i greci.

È in queste pagine che Cassandra ci viene restituita come una donna del nostro tempo, dotata di una profonda e visionaria intelligenza, una stratega politica capace di interpretare segni, umori e sogni, che rimane inascoltata, che viene odiata, incompresa e screditata tranne che da Laoconte e dal suo Enea.

Il suo peccato originale è stato quello di aver rifiutato il dio Apollo, il quale, dopo averle conferito il dono della preveggenza, le sputa sulle labbra e la condanna a rimanere per sempre inascoltata.

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È una donna, Cassandra, che lungo il corso della Storia abbiamo ritrovato in molti autorevoli pensatori e rivoluzionari, screditati durante il tempo che vissero e glorificati post mortem. Il mito si ripete e a cavallo dei secoli da Giovanna d’Arco fino a Pasolini, l’incantesimo di Apollo lascia senza voce i profeti del loro tempo.

È una donna Cassandra che, alle porte di Micene, dove la conduce come ostaggio Agamennone, davanti “ai due leoni senza testa che la fissano” capisce che il suo tempo è finito: avere avuto la capacità di prevedere le sorti della sua amata Troia non è servito a salvare a nessuno, nemmeno se stessa.

La lunga guerra di Troia iniziò per colpa di Paride, figlio del re Priamo che rapì la bella Elena, scatenando l’ira di Menelao, il marito di Elena, e di Agamennone che organizzarono un esercito per muovere guerra a Troia.

Paride era ossessionato da Elena, sosteneva che era stata la stessa dea Afrodite, la dea dell’amore, ad avergliela promessa. E solo tramite il suo possesso sarebbe potuto diventare il primo tra gli uomini. Durante un banchetto con i greci, Paride già ubriaco e insolente “attaccò discorso con Menelao che gli sedeva accanto, sulla sua bella Elena”. La madre Ecuba cercò di frenare l’impertinenza del figlio ma lui arrogante “balzò in piedi, gridò: come! Lui doveva tacere? Di nuovo? Ancora? Farsi piccolo? Invisibile magari? Ah no. Quei tempi sono passati. Io Paride non sono tornato per tacere. Io Paride sono quello che va a riprendere la sorella al re dei nemici. Ma se mi sarà rifiutata, ce n’è un’altra più bella di lei. Più giovane. Più nobile. Più ricca. Sappiatelo, mi è stata promessa.

Mai prima di allora nel palazzo di Troia aveva regnato un silenzio simile. Ognuno sentì, che un limite rispettato fino ad allora, in quella circostanza fu violato.

Alla partenza di Menelao, Cassandra cominciò a presagire l’inizio delle ostilità con i greci, il suo corpo rifiutava di nutrirsi, le sue urla venivano interpretate come il segno della sua pazzia. Quando i suoi deliri visionari terminarono, una terza nave approdò a Troia dalla quale dovevano sbarcare i più audaci guerrieri del re Priamo: il suo amato Enea, Ettore e magari Paride. Ma Paride no, non era con loro. Quando sbarcò dopo mesi e mesi portava con sé una persona “fittamente velata” che non si mostrò mai al popolo. Elena divenne una leggenda, Menelao e Agamennone tornarono a reclamarla, ma un re non può sottomettersi a un altro re e dopotutto Elena “non esisteva”.

Ora Cassandra, su quella nave che la conduceva prigioniera a Micene, ricordava tutto, nei deliri della fine le scorrevano davanti agli occhi tutti i suoi presagi.

Durante uno degli ultimi atti di guerra, in un periodo durante il quale i greci avevano strategicamente cessato di attaccare Troia, Cassandra fa un sogno del quale non riesce a comprenderne il significato. E a un giro di lune arrivò una visita:

Con la luna nuova arrivò Enea. Strano che Marpessa non dormisse nell’atrio, come sarebbe stato suo dovere. Gli vidi il viso solo per un attimo, quando con un soffio spense la fiamma che nuotava in un bagno d’olio accanto alla porta. Il nostro segno di riconoscimento fu e rimase la sua mano sulla mia guancia, la mia guancia nella sua mano. Ci dicemmo poco più che i nostri nomi, non avevo mai udito una poesia d’amore più bella. Enea Cassandra. Cassandra Enea. Quando la mia pudicizia incontrò la sua timidezza, i nostri corpi persero ogni freno. Non avrei mai potuto immaginare come avrebbero risposto le mie membra alle domande delle sue labbra, quale sconosciuta sensazione mi avrebbe donato il suo odore. E di che voce sarebbe stata capace la mia gola.

Ma non era opportuno che l’anima di Troia stesse a Troia. Il mattino dopo se ne andò con una schiera di armati.”

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La Cassandra di Christa Wolf è insieme donna e fanciulla. L’autrice, polacca di nascita e tedesca d’adozione, ci narra la vita della sacerdotessa scivolando all’indietro nel tempo fino alla sua infanzia. Questa Cassandra rifiuta di essere solo l’appendice di un uomo, rifiuta l’umiliazione di essere scelta. Enea è l’uomo che le è destinato e misteriosamente, per uno strano gioco del destino è anche l’uomo che l’ama e la rispetta al primo sguardo e che la lascerà libera. Cassandra pagherà per l’uso del suo dono in chiave dissidente, pagherà per i suoi no e i suoi oracoli contrari alla legge dell’amato padre. Dalla caduta di Troia e la rovina di Cassandra, il mito apre le porte alla società dell’autodistruzione.

 

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